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venerdì 28 marzo 2014

PLACENTOFAGIA

"Il meglio per il mio corpo me lo da il mio corpo!". Parola di Claudia Galanti che, in pigiama di seta rosa pesca, seduta sul davanzale della finestra, beve il suo frullato di placenta. La foto, postata dalla showgirl su Instagram, sta facendo discutere. Molti i commenti negativi al rimedio di bellezza, ma la Galanti non si scompone: "Mi nutro della mia placenta! Per l'umore, per la pelle... e per la mia principessa!".FONTE

January Jones, la bella attrice americana diventata recentemente mamma, ha annunciato di aver mangiato la sua placenta dopo il parto. Perché? Secondo lei perché aiuta a recuperare forze ed energia rapidamente dopo le fatiche del travaglio.

Ma quanto c’è di vero in questa teoria?

Hanno provato ad indagare alcuni studiosi dell’Università di Buffalo che si sono chiesti se la placentofagia possa offrire dei concreti benefici per la mamma, ma anche per altri esseri umani. Mark Kristal è un vero esperto del settore, ha studiato la placentofagia per più di 40 anni, e in un recente articolo ricorda che nel mondo animale i mammiferi mangiano la placenta (e ingeriscono anche il liquido amniotico) con importanti benefici per lasalute psicofisica della mamma: ad esempio favorisce l’instaurarsi del rapporto stretto tra mamma e bambino, riduce il rischio di depressione post parto e di ostilità materna nei confronti del neonato, inoltre sembra svolgere una naturale azione analgesica.

Secondo Kristal si sta assistendo a una sempre crescente attenzione nei confronti della placentofagia, ma una certa resistenza, di tipo antropologico e culturale, resiste. “Non è importante convincere gli esseri umani a mangiare la placenta, ma studiarne la composizione in modo da poter usare le molecole responsabili di effetti benefici per realizzare dei prodotti naturali a base di placenta”, ha spiegato Kristal che ha ricordato come alcuni studi abbiano dimostrato l’effetto analgesico di alcune sostanze contenute nella placenta, un effetto che sarebbe riscontrabile sia sulle donne che sugli uomini. Fonte




Alcuni anni fa mi capitò di venire a conoscenza di un costume del quale ignoravo l’esistenza e che, lì per lì, mi provocò una reazione immediata di disgusto: laplacentofagia, praticata per scopi rituali o fisiologici all’interno di particolari contesti culturali. Mi riproposi pertanto di tornare sull’argomento alla prima occasione, che si presentò casualmente: su un sito trovai uno studio di Patricia Guthrie, antropologa sociale (“Many cultures revere placenta, byproduct of childbirth”). Ve ne propongo parte del contenuto, sottolineando che con il generico termine di “placenta” ci si riferisce all’insieme di placenta, cordone ombelicale residuo dopo il taglio e membrane (il “sacco”).

L’autrice parte dalla considerazione che “nella medicina occidentale la placenta umana viene abitualmente considerata come nulla più che un rifiuto, mentre presso molte culture essa gode di un trattamento di tipo cerimoniale. Riverita per il suo simbolismo collegato con la vita, lo spirito e l’individualità, viene spesso sepolta all’esterno. Alcune popolazioni la sottopongono anche a cottura e se ne cibano, sia per celebrare la nascita sia per il suo alto contenuto di nutrienti. Presso gli Indiani Navajo del Sudovest degli USA è d’uso seppellire una placenta all’interno del territorio della riserva tribale, delimitato dai Quattro Angoli sacri, come simbolo di legame con la terra degli antenati e il gruppo di appartenenza. I Maori della Nuova Zelanda mantengono anch’essi la tradizione di sotterrare la placenta sotto il suolo nativo. Nel loro linguaggio originale, la parola per “terra” e “placenta” è la medesima: whenua. Gli indigeni boliviani Aymara e il popolo Quechua pensano che la placenta abbia un suo proprio spirito. Essa deve essere lavata e sotterrata dal padre in un luogo segreto e ombroso. Se questo rituale non viene correttamente eseguito, la madre o il bambino possono ammalarsi gravemente o anche morire. Gli Ibo della Nigeria e del Ghana trattano la placenta come il gemello morto del bambino vivente e le tributano riti di sepoltura. Le madri filippinesono solite sotterrare la placenta con libri, nella speranza di avere un bambino intelligente.

Altre culture usano associare alla placenta un simbolo del proprio gruppo sociale quando la interrano, come una sorta di assicurazione di discendenza.

Presso l’etnia Hmong del Sudest Asiatico, la parola per “placenta” può essere tradotta come “giacca”, essendo considerata il primo e più bell’indumento del bambino. Anch’essi sotterrano la placenta, poiché pensano che dopo la morte l’anima deve ripercorrere, a ritroso, i tragitti seguiti in vita fino a tornare al luogo di sepoltura della propria “giacca-placenta”…

Essendo la placenta la struttura anatomica attraverso la quale il feto riceve nutrimento, molte culture la considerano ricca di principi nutritivi; ritengono inoltre che attenui la depressione postparto. La preparazione della placenta per il consumo da parte della madre è usanza tradizionale presso Cinesi e Vietnamiti. I primi pensano che una madre nutrice debba bollire la placenta, consumandone il brodo, poiché berlo rende migliore il suo latte. Questa pratica, conosciuta come “placentofagia”, non è stata molto apprezzata quando, nel 1998, è comparsa sul programma inglese di cucina “TV dinner”, secondo il periodico londinese “The independent”…

A questo punto, l’autrice analizza le reazioni suscitate dalla visione del programma negli spettatori, che dimostrano non soltanto quanto sia lontano un concetto del genere dal nostro modo di pensare, ma anche quanto arduo sia tentare di trasferire nel nostro contesto culturale usanze che non ci appartengono, che non sentiamo intimamente parte della nostra tradizione.

“Al programma ha partecipato una coppia londinese che festeggiava la nascita della nipote, preparando e poi mangiando la placenta della bambina, come un modo per diffondere rituali di altre parti del mondo e condividere simbolicamente il patrimonio genetico della neonata. La placenta è stata fritta con aglio e scalogno, flambata, triturata e servita a venti famigliari e amici, in forma di patè su focaccia. Il padre si servì 17 volte, ma gli altri ospiti furono meno entusiasti”, ha riportato il giornale. Dopo aver ricevuto lamentele dai telespettatori, la redazione reputò che il programma avesse violato un tabù e che fosse risultato sgradevole per molti, anche se i produttori avevano cercato di trattare l’argomento con sensibilità e imparzialità”.

E’ probabile che un gesto del genere sia stato vissuto come “cannibalico”: di certo nelle nostre società non esiste un legame così stretto con la placenta, né le si attribuisce alcun significato simbolico. Tuttavia, sarebbe bello che come ostetriche ci abituassimo a valorizzare quest’organo agli occhi della donna/coppia, a mostrarlo come parte di un insieme, descriverlo, farne intuire il fascino più o meno nascosto: la placenta è di una bellezza sorprendente. Dopo aver assistito un parto domiciliare, se ci sono fratellini la osserviamo sempre insieme, e i loro occhi si riempiono di stupore mentre fanno mille domande; quasi sempre la lascio alla donna, poiché ritengo che ne sia legittima proprietaria, proponendole di sotterrarla: il più delle volte finisce in un grande vaso o in piena terra, alla base di una pianta che ben presto diventa meravigliosamente florida… ; ) Fonte

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