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mercoledì 28 agosto 2013

Dermoriflessologia in sintesi



Dermoriflessologia in sintesi


La dermoriflessologia è una disciplina olistica, che considera l’essere umano nella sua globalità, ed è una tecnica riflessologica, che si avvale dell’intera superficie cutanea come specchio della sfera psicosomatica.
Il nome che abbiamo scelto ne definisce essenza e caratteristiche, ma per essere un po’ meno criptici sui contenuti essenziali di questa disciplina possiamo aggiungere che si basa sul fatto che qualcosa si riflette sulla superficie cutanea di ogni essere umano, e che questo qualcosa appartiene a chi nella pelle abita e vive.
Ciò che si rispecchia in determinate aree cutanee corrisponde infatti a tutti gli eventi memorizzati dal corpo fisico, informazioni che possono trasformarsi in fonte di preziosi apprendimenti, se esaminati e metabolizzati, oppure costituire una vera a propria prigione, se continuano a incombere come un pericolo di cui non si conosce l’origine.
Forse sarà superfluo, ma riteniamo utile sottolineare che la paura è un limite e che si teme ciò che non si conosce. La conoscenza è sempre un’arma vincente, l’unica che consenta di superare gli ostacoli che la nostra esistenza inevitabilmente prima o poi ci propone, e rendere la traversata del mare della vita una navigazione sicura e felice.
La dermoriflessologia mette a disposizione le mappe cutanee per riconoscere i segnali d’allarme contenuti nella storia personale e fornisce indicazioni precise per promuovere la comprensione dei temi irrisolti. E non è tutto: questa tecnica sviluppa anche la capacità di sintonizzarsi esattamente con la parte di noi (corporea, eterica, psichica, spirituale) che può offrire le risposte più mirate in base alle domande che ci poniamo. Non c’è pressoché confine all’operatività messa a disposizione dal magico ponte che si crea, tramite la pelle, fra l’universo interiore e quello esteriore. Neppure il fatto che gli eventi da cui trarre insegnamenti possano riferirsi al vissuto diretto o derivare da altre fonti, quali l’insegnamento, l’educazione, le consuetudini sociali, l’eredità genetica e altro ancora, risulta d’ostacolo per la dermoriflessologia. Il suo campo d’azione è veramente inestimabile.
Dopo aver scoperto che la dermoriflessologia ha ben pochi limiti, ripercorriamo gli scopi primari che ci eravamo prefissati di raggiungere attraverso la sua pratica, che abbiamo raggiunto e che, di conseguenza, oggi sono divenuti i suoi punti chiave:
scoprire le cause originarie di un malessere fisico o emozionale;
far affiorare tutti gli elementi disponibili;
sintonizzarsi con le fonti più adatte a offrire risposte e informazioni utili;
innalzare il tono energetico;
fornire un codice interpretativo per i segnali di ritorno derivanti dal trattamento;
ristabilire il naturale stato di benessere.
In poche parole, la sorgente di tutte le manifestazioni psicosomatiche e somatopsichiche diviene accessibile!
Nel testo illustreremo le operazioni da compiere per scoprire le cause delle manifestazioni psicosomatiche e le procedure da mettere in atto per risolvere gli effetti.

Le origini in pillole
La dermoriflessologia affonda le proprie radici nelle ricerche scientifiche effettuate sulle differenze di sensibilità del tessuto cutaneo. Le origini risalgono ai primi del Novecento e sono il frutto del lavoro svolto dal neurologo friulano Giuseppe Calligaris, il quale riscontrò, in conformità a tali differenze, delle corrispondenze con lo stato di benessere o malessere di alcuni organi, apparati o sistemi del corpo umano, registrando contemporaneamente l’insorgere di pensieri, sentimenti ed emozioni ben definiti. A Calligaris dobbiamo la minuziosa stesura della vastissima mappa delle corrispondenze cutanee, integrata solo marginalmente dai nostri studi ed esperimenti successivi.
Allo stato attuale, le scoperte dello scienziato italiano sono state sviluppate e ampliate moltissimo e possiamo dire che tale evoluzione è confluita nella “nostra” dermoriflessologia: il nome che abbiamo dato alla tecnica riflessologica che usa la pelle come specchio delle funzioni psichiche e corporee.
Nella pratica, pelle, psiche e corpo sono collegati da una triplice corrispondenza che si può sfruttare per conoscere meglio se stessi e innescare processi di autoanalisi, autoaiuto e autoguarigione.

Malessere: una nuova prospettiva
Di solito si considerano le malattie, i disturbi e i dolori alla stregua di nemici da sconfiggere, perché ostacolano il cammino della vita. Eppure potremmo cambiare prospettiva d’osservazione e scoprire qualcosa in più. Non intendiamo certo invitarvi a considerare i malanni come amici ai quali affezionarsi, ma potrebbe essere un approccio migliore vederli come ambasciatori che vengono per avvisare di aggiustare la rotta finché si è in tempo, prima di finire fuori strada.
Ogni malessere è un campanello d’allarme, una spia che si illumina per segnalare che qualcosa non sta funzionando al meglio. E, quando ciò succede, la cosa migliore che possiamo fare è chiederci perché e correre ai ripari.
I mutamenti dell’essere umano durante il dinamico percorso dell’esistenza espongono a continue alterazioni dell’equilibrio. Equilibrio che deve venire di volta in volta riconsiderato e ristabilito, ma in maniera sempre nuova, perché sempre nuova è l’essenza individuale dopo che si è arricchita di nuove esperienze.
Ogni volta che ci troviamo a fronteggiare una situazione, che sia piacevole o dolorosa, veniamo sottoposti a sollecitazioni che richiedono un apprendimento da parte di tutto il nostro essere. Spesso ciò comporta periodi più o meno lunghi di disequilibrio energetico, che a livello fisico si manifestano attraverso malesseri di varia entità.
In quest’ottica la malattia si può rivelare come una preziosa fonte di informazioni: un messaggio che il nostro corpo ci invia per consigliarci di fermarci e riflettere.
Le esperienze percepite in modo traumatico, se non vengono elaborate, rimangono irrisolte e creano blocchi nella memoria energetica, blocchi che possiamo anche raffigurare come buchi nei corpi luminosi. Se trascuriamo questi segnali, la malattia, anche se sembra sconfitta, si ripresenterà alla prima occasione in cui un episodio andrà a stimolare, riattivandolo, l’evento non risolto.
Da qui nasce l’idea di smettere di vedere le malattie come nemiche da distruggere, per imparare attraverso di loro a capirci, ad amarci, a prenderci cura di noi stessi, a vincere e superare le nostre paure e i nostri limiti.
Potremmo addirittura dire che il desiderio di conoscenza, insito nell’essere umano, nasconda in sé un potenziale invito per la malattia. In un certo senso, l’uomo apre la porta alle malattie nel momento stesso in cui si rende conto della propria infelicità e inizia ad avvertire, anche se soltanto inconsapevolmente, quanto più grande e meraviglioso possa essere il mondo ed il suo stesso essere.
La malattia è sicuramente la manifestazione di un disagio, ma è anche molto di più: è la coscienza, ancora dormiente, del fatto che le nostre possibilità sono superiori a quello che comunemente crediamo e a ciò che la società vorrebbe farci pensare.
L’insoddisfazione è la sensazione dell’anima di essere costretta in un mondo troppo piccolo e riduttivo per le sue potenzialità.
Chi desidera prendersi cura di sé e degli altri in maniera naturale e dolce deve considerare l’essere umano non soltanto come un organismo fisico, ma nella sua globalità. Prendendo in esame il corpo fisico, ci accorgiamo immediatamente che molte funzioni risultano inspiegabili se non lo consideriamo permeato da forze vitali, “animato”. Il corpo, inteso unicamente nella sua materialità, non potrebbe generare sentimenti, pensieri e volontà: privato degli elementi eterico, animico e spirituale, l’organismo dovrebbe sottostare unicamente alle leggi del regno minerale, proprio come accade a un cadavere.
Ognuno di noi dovrebbe cercare di mantenere uno stato ottimale di salute, perseguendo l’obiettivo di migliorare la qualità della propria vita, prima ancora che intervenendo durante la malattia. Un’espressione armoniosa di ciascuna componente dell’essere umano è alla base di una vita sana e di elevata qualità; perseguire uno sviluppo coerente e una coscienza vigile significa progredire nell’evoluzione personale.
Affinché possa verificarsi una crescita, non è indispensabile che una persona abbia vissuto una vita perfetta, anzi: spesso gli ostacoli e gli eventi traumatici sono componenti che offrono l’occasione, la spinta necessaria, per iniziare un percorso. Un’esistenza priva di sfide è come un tragitto in un terreno completamente pianeggiante: non offre alcuna occasione per mettersi alla prova. Al contrario, è affrontando i problemi che si avanza, affinando le proprie arti verso mete sempre più elevate. In questo modo, ognuno può partecipare attivamente al compiersi del proprio destino, piuttosto che vivere come uno spettatore passivo.
Un atteggiamento passivo rende pressoché impossibile interpretare i segnali della vita; gli ostacoli e le malattie appaiono come sfortune ingiustificate e si perde l’opportunità di trovare, attraverso la comprensione degli eventi, la chiave di una più ampia e durevole crescita personale.
Spesso accade che dopo un periodo travagliato ci si scopra diversi, cambiati. Superare un ostacolo o una malattia dà nuove forze, ci trasforma. Allora possiamo capire come certe esperienze siano fondamentali per lo sviluppo di determinate facoltà: fa parte della natura umana la volontà di evolvere, di cercare avvenimenti stimolanti per progredire.
L’umanità si è posta come compito l’evoluzione verso una coscienza superiore, anche attraverso dolori e malattie.
A questo punto diventa ancora più evidente che di fronte alla malattia è insufficiente debellare i sintomi e gli effetti collaterali negativi, mentre è assai più logico osservarla con rispetto, cercando di estrapolarne gli insegnamenti utili a superarla, contribuendo così a imprimere un balzo evolutivo al proprio cammino.
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